Primo Impatto, Prime Emozioni

Tutte le volte che devo salire sull’aereo per venire quaggiù le emozioni sono tante e contrastanti fra loro: estrema felicità di poter riabbracciare di nuovo questa terra e profonda tensione per i controlli israeliani. Non tocco cibo per tutto il giorno precedente al volo. Poi la signorina alla dogana, dopo qualche domanda apparentemente senza senso, senza far trasparire alcuna emozione ti riconsegna passaporto con annesso visto…ed è fatta. Ma solo il primo step. Eh si perché l’aeroporto di Ben Gurion si trova a Tel Aviv, in Israele, e tu invece vuoi andare proprio “dall’ altra parte”. Allora prendi il taxi collettivo, sperando che l’autista non sia troppo schizzinoso riguardo alla tua meta, e via per un’ora e mezza di strada, pigiata fra turisti e “autoctoni” che ti riempiono di domande riguardo alla tua visita nella terra santa. Questa volta mi è andata bene e l’autista mi fa fare anche una telefonata per raggiungere il mio puntello, non avendo ancora una scheda telefonica funzionante. Ed eccomi qua, a Betlemme: il profumo è quello delle mille spezie, di cui continuo a dimenticare il suono dei nomi; il colore è quello della terra secca e degli ulivi; la musica quella della preghiera con cui il moezzin richiama i fedeli, tutti i giorni per almeno 5 volte al giorno.
La prima cosa che faccio, dopo aver stritolato gli amici di qua, è divorare i falafel: non mangio da due giorni, e come li fanno qui non li fanno da nessuna parte, soprattutto quelli di BB nel campo profughi di Aida, i migliori!
In tutte queste prime cose, la prima notte, non poteva certo mancare un’incursione dell’esercito israeliano nel campo profughi di Deishesh. I giorni dopo mi spiegano che è stata una cosa veloce, “solo” di disturbo o avvertimento, con delle bombe acustiche, e che non hanno portato via nessuno, questa volta…mentre mi viene raccontato tutto questo da W, mi mostra sorridendomi una foto: quando, esattamente un anno fa, un’incursione nel campo era avvenuta per portare via lui. Vedere il suo viso, le mani legate dietro la schiena, in mezzo ai soldati mi ha scossa. Eppure la sua storia la conoscevo già, non era stupore il mio, ma angoscia. C’ è una profonda differenza di emozioni che si prova quando si legge una notizia sulla Palestina, e il fatto che quella notizia riguarda persone che conosci, che stai imparando a scoprire, a cui inizi a legarti e con le quali stringi un rapporto di affetto e fiducia. E comunque lui è accanto a me ora che mi sorride appunto, quindi mi faccio contagiare…e il “contagio” continua per i giorni successivi: è impossibile resistere alla forza, alla voglia di vivere e di sorridere dei bambini del campo. Decidono loro giorno e orario delle lezioni di arrampicata e io posso solo dire di si, e insegnare loro quelle poche nozioni tecniche che ho. Loro ci mettono entusiasmo e voglia di fare,e poco importa il fatto che parliamo due lingue diverse, ci si capisce e a gesti e risate. Loro invece si impegnano ad insegnarmi ad andare sullo skate, ma va a finire che è una gara a farmi vedere quanto sono bravi a fare le acrobazie, e io faccio le foto. Nel giro di una settimana se giro per le vie del campo, i bambini mi chiamano per nome e mi salutano chiedendomi “kifek?”, interessati soprattutto al fatto che io sia italiana, ma senza mai farmi sentire straniera: nonostante le evidenti difficoltà quotidiane che si possono riscontrare qui (la corrente elettrica che va e viene, acqua da usare con il contagocce, le basilari), il calore umano nell’accogliere l’altro  è una caratteristica tipica di tutti i palestinesi, popolo che vive sotto occupazione da 70 anni, e che non manca mai. Una delle attività che li riempie di gioia, infatti, è farti mangiare:se potessero di darebbero cibo per 24 ore di fila, e anche se sei vegetariana, mangi shawarma, perché dicono “il pollo non è carne”, e cosi li fai felici!
Non sempre però è cosi facile mantenere alto l’umore: si può passare molto in fretta dalle risate davanti ad un fuoco sotto le stelle nel deserto che porta al Mar Morto, alla notizie che Gaza è di nuovo sotto attacco. Domenica l’esercito israeliano è entrato nella striscia sotto copertura, ma è stato scoperto dai soldati di Hamas. E cosi la fragile “tregua”, dopo la “concessione” di ingresso nella striscia di soldi e benzina, è precipitata di nuovo. Sette i morti palestinesi, uno israeliano. E proprio poca fà nel pomeriggio, lunedì 12 novembre, lo scontro è ricominciato e continue sono le telefonate fra chi sta “dentro” e chi sta “fuori” cariche di preoccupazione e incertezza. Sapremo meglio domani, inshalla!!!
ps
al momento tra Gaza e Israele è stato stabilito un cessate il fuoco, tramite anche la mediazione egiziana. Però è impossibile ora entrare e uscire da Gaza, tutti i coordinamenti sono stati bloccati. Il bilancio delle vittime palestinesi è aumentato con la morte di altri  ragazzi nella giornata di martedì 13 novembre.